Tatuaggi Maori: il Moko facciale, storia e simbologia

La cultura occidentale vive ancora il tatuaggio sul viso come un tabù, qualcosa cui guardare con sospetto e disapprovazione, per il popolo Maori invece il tatuaggio facciale, detto “Moko”, ha un’importanza fondamentale e antichissima, è culturalmente obbligatorio perché dagli albori della storia del popolo polinesiano identifica l’appartenenza ad una tribù ed imprime su di una persona il “mana”, ossia  l’energia spirituale, l’ anima, la forza vitale.

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Il Moko e il suo significato

Simbolo di appartenenza e distinzione, il moko facciale indica il grado della persona e lo status sociale al quale appartiene, oltre a raccontare esperienze affrontate durante la propria vita; è una sorta di tatuaggio infinito e in continua trasformazione, perché viene iniziato in giovane età e continua ad essere ampliato durante la vita fino a pochi istanti prima della morte. Primo segno del passaggio alla vita adulta, il Moko rappresenta per gli uomini una sorta di impronta digitale (non esistono due moko uguali) e per le donne, cui veniva principalmente tatuato il mento e a volte la fronte e le narici, è un simbolo di appartenenza ad un uomo della tribù, oltreché un segno di bellezza.

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Dagli scalpelli agli aghi

Leggenda vuole che i guerrieri maori più valorosi riuscissero a farsi tatuare il volto in una sola seduta, una pratica dolorosissima se consideriamo la rudimentalità degli strumenti usati, il tatuatore, chiamato”Tohunga ta Moko”, dopo aver realizzato il disegno sulla pelle, incideva  difatti utilizzando uno strumento detto “Uhi Whaka tataramoa”, che veniva usato anche per realizzare sculture in legno; dopo questa opera di intagliamento della cute, del pigmento veniva strofinato sulle ferite al fine di colorare il disegno, penetrando così sotto l’epidermide fino a pochi millimetri dal derma. Ovviamente trattando la pelle con così poca delicatezza, come se si trattasse di un oggetto, il tatuaggio impiegava moltissimo tempo a guarire causando diversi rigonfiamenti sul volto e costringendo a volte i tatuati al digiuno o a nutrirsi solo tramite ingestioni di liquidi. I moko facciali, e i tatuaggi maori in genere, furono realizzati in questo modo almeno fino al 1850, lasciando poi il passo ai più moderni aghi.

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dipinto testimonianza dell’uso di scalpelli per tatuaggi

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Simbologia e zone del Moko

Se di primo impatto il Moko può sembrare un insieme di linee dall’incomprensibile significato, è importante sapere che ad ogni segno spetta il suo posto e senso, che è necessario improntare ogni aspetto del tatuaggio seguendo principi di simmetria e ordine, difatti il volto è diviso in 4 zone che sono la fronte destra, quella sinistra, la faccia inferiore sinistra e la sua controparte destra:

  • lato destro del viso: riporta informazioni sulla propria famiglia, come la posizione sociale all’interno della tribù ed il rango del padre, oltre alle affiliazioni tribali e la posizione sociale.
  • Lato sinistro del viso fornisce informazioni sul rango della madre, e come era avvenuto per il padre, traccia le affiliazioni tribali e la posizione sociale dell’individuo tatuato.

Una tradizione ancora viva

Il moko, come abbiamo visto è il risultato di un complicato tracciato fatto di linee e segni, mentre tatuaggi maori dai simboli visivi più immediati e comprensibili si trovano solitamente sul resto del corpo. Il moko può arrivare a coprire tutto il viso, dalla radice dei capelli fino al mento, esempi più noti ci arrivano dalle campagne pubblicitarie organizzate delle marche Adidas, Nike e Bulgari, immagini accattivanti che sono una prova di come questa antichissima arte non sia mai morta ma anzi, viva ancora a testimoniare l’interessante storia di questo popolo.

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nota campagna Adidas per gli All Blacks
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il design di Bulgari che si ispira al moko visibile sulla sinistra
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campagna Nike che richiama alla cultura Maori
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